La vaccinazione contro il Covid-19 si è dimostrata il passo più importante nella lotta contro la pandemia, recenti studi danno manforte al concetto che chi è vaccinato non sviluppa la malattia nelle forme più gravi.

La recente ricerca condotta presso l’Università Johns Hopkins School of Medicine e pubblicata su The Lancet Microbe ha rivelato risultati sorprendenti riguardo all’effetto della vaccinazione contro il Covid-19 sulla gravità dell’infezione. Analizziamo i principali risultati di questo studio, focalizzandoci sulla relazione tra vaccinazione e livelli di infiammazione in caso di infezione da Covid-19.

Le citochine e le chemochine svolgono un ruolo critico nella risposta all’infezione e alla vaccinazione. Lo studio è stato mirato a valutare l’associazione longitudinale tra la vaccinazione COVID-19 e le concentrazioni e le traiettorie delle citochine e delle chemochine tra le persone con infezione da SARS-CoV-2.

La vaccinazione contro il Covid-19 si è dimostrata cruciale nella lotta contro la pandemia. Un concetto che abbiamo ripetuto sempre e su cui ci sono sempre più riscontri positivi, anche a lungo termine. Una delle scoperte più significative è che le persone vaccinate sperimentano livelli di infiammazione notevolmente inferiori in caso di infezione rispetto a coloro che non hanno ricevuto alcuna dose.

L'infezione è più blanda se si è vaccinati

Questo risultato è in linea con quanto osservato in diverse occasioni: la vaccinazione non solo previene l’infezione, ma riduce anche drasticamente le probabilità di sviluppare una malattia grave. Uno studio pubblicato su The Lancet Microbe ha dimostrato che i livelli di molecole infiammatorie nel sangue delle persone vaccinate e recentemente infettate dal virus sono nettamente più contenuti rispetto a coloro che non sono stati vaccinati e contraggono il virus. Questi livelli inferiori si traducono in sintomi meno gravi e un recupero più rapido.

La pandemia di Covid-19 ha segnato la storia recente, portando a decessi e problematiche sociali di vasta portata. Tuttavia, grazie all’uso diffuso dei vaccini, il 5 maggio 2023 è stata dichiarata la fine ufficiale dell’emergenza sanitaria. Nel corso di questi tre anni, il virus ha causato un numero considerevole di morti e ha comportato sfide significative per la società. I vaccini hanno giocato un ruolo fondamentale nel contenere l’impatto del virus sulla popolazione, riducendo drasticamente il numero di ricoveri e decessi legati al Covid-19.

L’Effetto Protettivo della Vaccinazione

La vaccinazione degli adulti ha dimostrato di avere un effetto diretto sulla mortalità causata dal Covid-19. Secondo i dati presentati al Congresso europeo di Microbiologia clinica e Malattie infettive ECCMID 2023, la vaccinazione degli adulti ha evitato la morte di oltre un milione di persone, in particolare tra coloro di età superiore ai 60 anni. Questi risultati confermano l’importanza cruciale della vaccinazione nel ridurre l’andamento fatale della malattia.

La vaccinazione non solo protegge dallo sviluppo di forme gravi di Covid-19, ma sembra anche avere un impatto sulle reazioni infiammatorie associate all’infezione. Lo studio pubblicato su The Lancet Microbe ha rivelato che i partecipanti vaccinati, anche in caso di infezione, manifestano livelli inferiori di diverse citochine e chemochine infiammatorie rispetto ai non vaccinati. Questo effetto potrebbe essere attribuito al fatto che il sistema immunitario dei vaccinati è già addestrato a combattere il virus. Inoltre, la ricerca ha dimostrato che la risposta immunitaria cellulare è migliore nei soggetti vaccinati con infezione da Covid-19 rispetto a quelli non vaccinati. I dati suggeriscono che la vaccinazione può giocare un ruolo protettivo contro l’infiammazione anche in caso di infezione sintomatica da Covid-19.

I risultati dello studio

Dopo aver considerato fattori confondenti come età, indice di massa corporea, sesso e condizioni di salute concomitanti, i ricercatori hanno osservato che i pazienti che avevano completato il ciclo di vaccinazione presentavano livelli ematici significativamente più bassi di citochine e chemochine, sia durante l’infezione che nel lungo termine. A circa 90 giorni dall’insorgenza dei sintomi, i pazienti completamente vaccinati avevano mediamente una concentrazione inferiore del 20% per almeno tre dei marcatori di infiammazione rispetto ai non vaccinati. Il tipo di vaccino ricevuto non ha influenzato i livelli di questi biomarcatori di infiammazione.

Alison Abraham, professore associato di epidemiologia presso l’Università del Colorado (USA) e co-autrice dello studio, ha spiegato che la ricerca dimostra i vantaggi a lungo termine dei vaccini COVID-19 nel ridurre l’infiammazione in seguito all’infezione sintomatica. In sostanza, la vaccinazione, indipendentemente dal tipo di vaccino, sembra moderare la risposta infiammatoria dell’organismo all’infezione. È diventato chiaro che è una risposta infiammatoria eccessiva o inappropriata che causa i sintomi gravi del COVID-19 anziché proteggere il corpo come dovrebbe. Joshua Xianming Zhu, primo autore dello studio e biostatistico presso il dipartimento di patologia della Johns Hopkins University School of Medicine, ha sottolineato che nonostante il COVID-19 non sia scomparso, la vaccinazione rimane il principale strumento per combattere la malattia, specialmente in caso di possibili futuri picchi di infezione.

Questa ricerca scientifica ha dimostrato che la vaccinazione non solo previene l’infezione da Covid-19, ma riduce anche in modo significativo la gravità della malattia. I livelli inferiori di infiammazione nei soggetti vaccinati contribuiscono a una sintomatologia più lieve e a un recupero più rapido. La vaccinazione è stata un pilastro fondamentale nel contenimento della pandemia e ha contribuito in modo determinante alla riduzione dei ricoveri e dei decessi legati al Covid-19. La consapevolezza pubblica sull’importanza della vaccinazione e la distribuzione equa dei vaccini a livello globale rimangono aspetti cruciali nella lotta contro la malattia.

Uno studio sulla risposta anticorpale

Un altro studio condotto dagli scienziati dell’Emory Health Science (USA) e pubblicato su Nature Immunology, invece, ha rivelato che i livelli di infiammazione precedenti all’administrazione di un vaccino potrebbero influenzare la risposta del corpo all’immunizzazione. In particolare, il gruppo di partecipanti con livelli di infiammazione più alti prima del vaccino ha dimostrato di generare la maggiore risposta anticorpale. Questa scoperta contrasta con l’idea tradizionale dell’infiammazione come evento negativo per l’organismo.

Gli scienziati hanno valutato 820 giovani adulti sani immunizzati con vari vaccini per identificare quali marcatori del sistema immunitario influenzassero la risposta anticorpale. I partecipanti sono stati divisi in gruppi in base ai livelli di risposta infiammatoria precedente alla vaccinazione, e si è notato che il gruppo con i livelli di infiammazione più elevati ha avuto una risposta anticorpale più potente. Questo studio contribuisce a una migliore comprensione della variazione nella risposta individuale alla vaccinazione.



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