La sibutramina è stato un principio attivo impiegato in passato per la cura dell’obesità. La sua attività farmacologica si svolge a livello del sistema nervoso centrale, dove agisce con una modalità simile a quella di certi antidepressivi

La sibutramina inibisce il riassorbimento (reuptake) di alcuni neurotrasmettitori eccitatori, come noradrenalina, serotonina e, in minor misura, dopamina. Questi messaggeri chimici sono coinvolti nella trasmissione degli impulsi nervosi e svolgono un ruolo importante nel controllo dell’umore e dell’appetito. La sibutramina, inizialmente commercializzata come alternativa farmacologica per la gestione del sovrappeso nei pazienti obesi, era spesso prescritta in associazione a un regime ipocalorico e a un’attività fisica regolare. L’uso prolungato e le complicazioni osservate ne hanno limitato la diffusione e ne hanno infine causato il divieto.

 

Effetti della sibutramina sull’appetito e sul metabolismo

Nonostante l’azione simile agli antidepressivi, la sibutramina non è destinata a migliorare l’umore, bensì a ridurre la fame. Agisce infatti come anoressizzante, favorendo la comparsa della sensazione di sazietà dopo i pasti. Oltre a questo effetto, la sibutramina stimola il sistema nervoso simpatico attraverso l’azione della noradrenalina, che determina un aumento del metabolismo basale e, di conseguenza, un incremento del dispendio calorico a riposo.

Effetti collaterali e rischi cardiovascolari

L’aumento dell’attività simpatica, sebbene utile per il dimagrimento, comporta numerosi effetti collaterali. Tra questi si riscontrano l’incremento della pressione arteriosa (mediamente di 2-4 mmHg per i valori sistolici e diastolici) e l’aumento della frequenza cardiaca (di circa 4-6 battiti al minuto). Altri effetti indesiderati comprendono insonnia, secchezza delle fauci, mal di testa e, in rari casi, la sindrome serotoninergica.

Per questi motivi, la sibutramina è controindicata nei pazienti con ipertensione arteriosa non controllata e in chi presenta una storia clinica di malattie cardiovascolari, come cardiopatia ischemica, insufficienza cardiaca, aritmie, ictus o attacchi ischemici transitori (TIA). Va inoltre somministrata con attenzione in caso di ipertiroidismo, glaucoma, insufficienza epatica o renale, ipertrofia prostatica o difficoltà nella minzione. La sibutramina può interagire con altri medicinali, in particolare con antidepressivi e farmaci contro l’emicrania. Queste associazioni possono aumentare il rischio di effetti avversi e devono essere attentamente valutate dal medico prima della prescrizione.

Studi clinici condotti per un periodo di sei mesi con dosaggi variabili da 1 a 30 mg al giorno hanno evidenziato un’efficacia dose-dipendente nella perdita di peso. In particolare, i pazienti trattati con 30 mg/die hanno perso in media il 7,7% del loro peso corporeo, contro lo 0,9% ottenuto con il placebo. Inoltre, si sono registrati miglioramenti nei livelli di trigliceridi, colesterolo totale, VLDL, peptide C e acido urico.

Il trattamento iniziava generalmente con un dosaggio di 10 mg al giorno, che poteva essere aumentato di 5 mg in caso di risposta insufficiente.

Ritiro dal commercio. Nonostante i benefici riscontrati, il 24 gennaio 2010 la sibutramina è stata ritirata dal mercato a livello europeo. Le autorità sanitarie hanno valutato che i rischi, in particolare quelli di natura cardiovascolare, superano i potenziali vantaggi terapeutici, soprattutto nei soggetti già predisposti a patologie del cuore e dei vasi sanguigni.

A livello globale, vari enti regolatori, tra cui la FDA (Food and Drug Administration) statunitense e l’EMA (European Medicines Agency), hanno emesso avvisi di sicurezza in seguito all’analisi dei dati dello studio SCOUT (Sibutramine Cardiovascular Outcomes Trial), che aveva evidenziato un incremento del rischio di eventi cardiovascolari gravi nei pazienti trattati con il farmaco.

Attualmente, per il trattamento dell’obesità si preferiscono altri approcci, tra cui nuove terapie farmacologiche con profili di sicurezza più favorevoli, interventi comportamentali e, nei casi più gravi, la chirurgia bariatrica.



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