Cos’è il fibrinogeno, la sua funzione nella coagulazione del sangue, i valori di riferimento e come interpretare risultati alti o bassi
Il fibrinogeno è una proteina presente nel plasma, fondamentale per il corretto funzionamento del processo di coagulazione del sangue. Viene sintetizzato dal fegato e si trova nel sangue in forma solubile. In ambito medico e scientifico, è identificato anche come “fattore I” all’interno della cascata della coagulazione.
Dal punto di vista biochimico, si tratta di una molecola complessa formata da tre catene proteiche (Aα, Bβ e γ) disposte in modo simmetrico. Il suo peso molecolare è elevato, circa 340 kilodalton, e in condizioni normali la sua concentrazione nel plasma varia tra i 200 e i 400 mg/dL.
La funzione principale è quella di intervenire nella formazione del coagulo sanguigno. Quando si verifica una lesione vascolare, questa proteina viene trasformata in fibrina grazie all’azione dell’enzima trombina. La fibrina crea una sorta di rete che stabilizza il coagulo, bloccando la fuoriuscita del sangue.

Valori normali, quando e come, perché viene richiesto questo esame. Il fibrinogeno è una proteina multifunzionale coinvolta nella coagulazione, nella riparazione dei tessuti, nell’immunità e nella regolazione della fluidità del sangue
Oltre alla coagulazione, è coinvolto nei processi di riparazione dei tessuti, contribuendo alla formazione del tessuto di granulazione, indispensabile nella fase di guarigione delle ferite. Ha anche un ruolo nelle risposte infiammatorie e immunitarie, facilitando l’attività dei globuli bianchi e promuovendo l’adesione cellulare nei siti di infiammazione.
Il fibrinogeno è una proteina fondamentale che svolge diverse funzioni essenziali per il corretto funzionamento dell’organismo umano. È coinvolto principalmente nei processi di coagulazione del sangue, nella guarigione dei tessuti danneggiati e nella risposta infiammatoria. Tali funzioni contribuiscono al mantenimento dell’integrità dei vasi sanguigni e alla protezione contro traumi e agenti patogeni.
Dal punto di vista fisiologico, questa proteina rappresenta uno degli elementi principali del sistema della coagulazione. Quando si verifica una lesione a un vaso sanguigno, il fibrinogeno viene trasformato in fibrina grazie all’azione dell’enzima trombina. La fibrina genera una rete stabile che trattiene le cellule del sangue e consente la formazione di un coagulo, bloccando la fuoriuscita di sangue.
Oltre alla funzione emostatica, svolge un ruolo nella riparazione dei tessuti, in quanto contribuisce alla creazione di una struttura temporanea che agevola la migrazione delle cellule necessarie alla rigenerazione. Questo processo è alla base della formazione del tessuto di granulazione, essenziale per la guarigione delle ferite.
Importante è anche la sua partecipazione alla risposta infiammatoria. Il fibrinogeno favorisce l’adesione e il movimento dei globuli bianchi verso i siti di infezione o danno tissutale, contribuendo all’attivazione delle difese immunitarie. In situazioni di stress per l’organismo, come infezioni o malattie croniche, i suoi livelli plasmatici aumentano, rendendolo una tipica proteina di fase acuta. Inoltre, collabora alla formazione di strutture extracellulari in grado di intrappolare microrganismi.
Dal punto di vista emoreologico, incide sulla viscosità del sangue, soprattutto quando è presente in quantità elevate, e può rappresentare un fattore di rischio per la formazione di trombi, specialmente in persone con patologie cardiovascolari o metaboliche.
Anatomicamente, viene prodotto dagli epatociti del fegato e si distribuisce nel compartimento plasmatico del sangue, dove circola in forma solubile. Non è accumulato nei tessuti, ma si attiva solo quando richiesto da specifici segnali biologici.
Come interpretare i valori dell’esame: alti, bassi e normali
L’esame serve a valutare la capacità del sangue di coagulare correttamente e a rilevare eventuali alterazioni legate a condizioni infiammatorie o ematiche. I valori che si ottengono dall’analisi devono essere sempre interpretati considerando il quadro clinico del paziente, poiché possono variare in base a diverse situazioni.
Normalmente, i livelli di fibrinogeno nel sangue si collocano tra 200 e 400 mg/dL, anche se questo intervallo può cambiare leggermente a seconda del laboratorio e della metodologia utilizzata. Quando i valori sono nella norma, si può ritenere che la coagulazione avvenga in modo equilibrato, senza rischi particolari.
Un aumento, invece, può essere indicativo di processi infiammatori o infezioni, sia acute che croniche. Anche alcune malattie autoimmuni possono provocare un rialzo di questa proteina. Inoltre, condizioni fisiologiche come la gravidanza, specialmente nell’ultimo trimestre, o eventi come interventi chirurgici o traumi, possono portare a un aumento del fibrinogeno. Anche fattori di rischio cardiovascolare, come diabete, obesità e ipertensione, sono spesso associati a valori elevati. In questi casi, un valore alto è considerato un segnale di un maggior rischio di formazione di coaguli, con possibili complicazioni come trombosi o infarti.
Al contrario, livelli inferiori al normale possono essere dovuti a malattie epatiche gravi, come cirrosi o epatite, poiché il fegato è responsabile della sua produzione. In alcune situazioni critiche, come la coagulazione intravascolare disseminata, il fibrinogeno viene consumato rapidamente, portando a valori molto bassi. Esistono anche forme congenite di carenza, rare ma importanti, che compromettono la sintesi o la qualità della proteina. Infine, alcuni trattamenti farmacologici anticoagulanti o fibrinolitici possono causare una diminuzione del fibrinogeno. Quando i livelli sono troppo bassi, il rischio principale è rappresentato da emorragie, anche spontanee, soprattutto in caso di traumi o interventi chirurgici.
Valori di fibrinogeno (mg/dL) | Interpretazione | Sintomi comuni | Patologie associate | Note aggiuntive |
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200 – 400 | Valori normali | Assenza di sintomi specifici | Normale funzione emostatica | Indica un equilibrio adeguato nella coagulazione |
> 400 | Iperfibrinogenemia (fibrinogeno alto) | Spesso asintomatico; possibile affaticamento, dolori articolari | Infiammazioni acute o croniche, infezioni, gravidanza, malattie autoimmuni, rischio cardiovascolare | Aumenta rischio trombosi; può essere marker di infiammazione sistemica |
< 200 | Ipofibrinogenemia (fibrinogeno basso) | Facilità a sanguinare, ecchimosi, sanguinamenti spontanei o prolungati | Malattie epatiche, coagulazione intravascolare disseminata (DIC), deficit congeniti, terapie anticoagulanti | Rischio emorragico elevato; necessita valutazione urgente e trattamento mirato |
< 100 | Grave ipofibrinogenemia/afibrinogenemia | Emorragie gravi, emorragie spontanee, emorragie post-operatorie | Afibrinogenemia congenita, forme gravi di DIC | Condizione rara e grave; richiede supporto medico immediato |
L’esame viene quindi richiesto in diverse situazioni cliniche: per valutare disturbi della coagulazione, monitorare malattie infiammatorie croniche, sospettare trombosi o embolie, preparare pazienti a interventi chirurgici e seguire l’evoluzione di malattie epatiche.
Come si esegue l’esame e quando viene richiesto?
Il test si esegue mediante un prelievo di sangue venoso, solitamente effettuato da una vena del braccio. Il campione viene raccolto in provette contenenti anticoagulanti per prevenire la coagulazione prima dell’analisi. In laboratorio, la sua concentrazione nel plasma viene determinata tramite metodiche specifiche, come quelle coagulometriche o immunoturbidimetriche. Il test è rapido e i risultati sono generalmente disponibili entro poche ore o al massimo un giorno lavorativo.
Questo esame viene richiesto in diversi contesti clinici, tra cui la valutazione di disturbi della coagulazione, specialmente in presenza di sanguinamenti inspiegabili o anomalie nei test emostatici come PT e aPTT. È utile anche per il monitoraggio di patologie infiammatorie croniche, come artrite reumatoide o lupus, e in caso di sospetto trombosi o embolia, per valutare il rischio trombotico. Inoltre, viene impiegato nel controllo pre-operatorio di pazienti con precedenti problemi emorragici o trombotici, nonché per la diagnosi e il follow-up di malattie epatiche, dato che il fibrinogeno è prodotto dal fegato. L’esame è indicato anche in situazioni acute, quali traumi, infezioni gravi o sindromi da consumo come la coagulazione intravascolare disseminata.
Fattori che influenzano l’esame
I risultati possono essere influenzati da diversi fattori, pertanto la loro interpretazione richiede attenzione e deve sempre tenere conto del contesto clinico del paziente.
Tra i fattori che possono determinare un aumento dei livelli di fibrinogeno si trovano gli stati infiammatori acuti o cronici, come infezioni o malattie autoimmuni, la gravidanza soprattutto nel terzo trimestre, il fumo di sigaretta, lo stress fisico o emotivo acuto, condizioni metaboliche quali obesità, diabete e ipertensione, oltre all’assunzione di alcuni farmaci come estrogeni o contraccettivi orali.
Al contrario, una diminuzione del fibrinogeno può dipendere da malattie epatiche gravi che compromettono la sua sintesi, dalla coagulazione intravascolare disseminata (DIC), da deficit congeniti come afibrinogenemia o disfibrinogenemia, nonché da terapie farmacologiche anticoagulanti o fibrinolitiche.
Altri elementi che possono condizionare i risultati riguardano le modalità di prelievo e la conservazione del campione, poiché errori in queste fasi possono alterare i valori, oltre alle diverse metodologie di laboratorio che possono fornire risultati leggermente differenti.