L’alimentazione ha un impatto decisivo sull’accumulo di peso. L’attività fisica resta indispensabile, ma da sola non basta
L’aumento costante dei casi di obesità nelle società economicamente avanzate ha generato un lungo dibattito tra esperti e opinione pubblica. Da una parte si accusa la riduzione del movimento quotidiano, dovuta a lavori sedentari e a uno stile di vita più comodo; dall’altra si punta il dito contro un’alimentazione eccessiva e spesso basata su prodotti ad alta densità calorica. Questo dualismo ha a lungo frenato le politiche sanitarie, lasciando in sospeso la domanda fondamentale: pesa di più l’inattività fisica o l’eccesso di calorie?

Il mantenimento di un peso corporeo adeguato, un’alimentazione equilibrata e l’attività fisica contribuiscono a prevenire o gestire malattie cardiovascolari croniche e gravi, tra cui ipertensione, cardiopatie e ictus. Un peso sano riduce inoltre il rischio di disturbi respiratori e del sonno, come asma e apnea notturna. Il National Heart, Lung, and Blood Institute (NHLBI), in collaborazione con altri istituti dei NIH e partner esterni, promuove la ricerca su obesità, nutrizione e attività fisica
Un gruppo di antropologi della Duke University, in Carolina del Nord, ha deciso di affrontare direttamente il quesito. I risultati, pubblicati sulla rivista PNAS, indicano che l’elemento determinante non è la riduzione del dispendio energetico, bensì l’aumento dell’introito calorico. Secondo il professor Herman Pontzer, la ricerca dimostra che i cambiamenti nella dieta rappresentano la causa principale della diffusione dell’obesità nei Paesi sviluppati, mentre l’attività fisica non risulta significativamente diminuita rispetto al passato.
Nell’Ottocento l’obesità era pressoché assente negli Stati Uniti, mentre oggi è diffusa sia lì sia in altri Paesi industrializzati, a differenza delle comunità con stili di vita tradizionali, come i cacciatori-raccoglitori Hadza della Tanzania.
Si è spesso ritenuto che lo sviluppo economico avesse favorito la sedentarietà e quindi un minore dispendio calorico, causa dell’aumento di peso. La ricerca ha dimostrato che il consumo energetico quotidiano è molto simile in 34 popolazioni di culture diverse, indipendentemente dal livello di attività fisica o dallo stile di vita.
I risultati indicano che il principale fattore responsabile dell’obesità moderna non è la riduzione del movimento, ma l’alimentazione, in particolare l’eccesso di calorie e il ricorso a cibi ultraprocessati. Queste evidenze mettono in discussione l’idea diffusa che l’inattività sia la causa predominante dell’aumento di peso.
Analisi condotta su sei continenti
L’indagine ha coinvolto oltre 4.200 adulti, di età compresa tra i 18 e i 60 anni, provenienti da 34 popolazioni distribuite in sei continenti. Il campione comprendeva comunità con stili di vita molto diversi: dai cacciatori-raccoglitori ai pastori, dagli agricoltori fino alle popolazioni industrializzate. I dati raccolti su consumo energetico, indice di massa corporea e percentuale di grasso corporeo hanno mostrato che il dispendio energetico si riduce solo del 6-11% con lo sviluppo economico, e che questa diminuzione contribuisce in minima parte all’aumento del peso. Al contrario, l’assunzione calorica elevata e il largo consumo di cibi ultraprocessati si sono rivelati strettamente collegati all’accumulo di grasso corporeo.
Dieta e movimento: un binomio da non separare
La professoressa Amanda McGrosky, coautrice dello studio, sottolinea che il calo del consumo energetico legato allo sviluppo spiega solo una frazione minima dell’aumento del grasso corporeo osservato. Il vero motore dell’epidemia di obesità risiede dunque nei cambiamenti alimentari. I ricercatori precisano che ciò non riduce l’importanza dell’attività fisica, la quale rimane fondamentale per la salute generale. La conclusione è chiara: alimentazione equilibrata e movimento devono essere considerati strumenti complementari, non alternativi.
Implicazioni per la salute pubblica
La prevalenza di sovrappeso e obesità è triplicata dagli anni Settanta, fino a raggiungere livelli definiti pandemici. Questo fenomeno è associato a un maggior rischio di malattie croniche non trasmissibili, come diabete di tipo 2, disturbi cardiovascolari, patologie muscoloscheletriche e alcuni tumori. L’obesità ha inoltre conseguenze sul benessere psicologico, favorendo isolamento sociale e depressione. Per questo motivo gli studiosi invitano a rivedere le strategie di sanità pubblica, concentrandosi su programmi mirati al miglioramento delle abitudini alimentari e alla promozione di uno stile di vita attivo, fin dall’infanzia.