Negli ultimi anni la comunità scientifica ha osservato con crescente interesse gli effetti del caffè sul fegato
Il caffè non rappresenta solo un rituale mattutino, ma potrebbe essere una delle bevande più benefiche per il fegato. Studi estesi indicano che un consumo regolare di caffè è associato a un minor numero di problemi epatici e a risultati migliori nei soggetti con malattie del fegato. Numerosi studi epidemiologici hanno evidenziato che il consumo regolare di tre o quattro tazze al giorno, anche in versione decaffeinata, può associarsi a una riduzione dei disturbi epatici, a un rallentamento della fibrosi in chi soffre di fegato grasso e a un minor rischio di tumore epatico primario. In altre parole, il caffè non sarebbe soltanto una bevanda energizzante, ma un potenziale alleato nella protezione della salute epatica. Ansia, aumento della pressione sanguigna, bruciore di stomaco e “agitazione” sono alcune delle prime cose a cui si pensa quando si considera il consumo eccessivo di caffè, ma ci sono anche numerosi effetti benefici che bisognerebbe considerare.

Il caffè assunto con moderazione – idealmente tre o quattro tazze al giorno e preferibilmente filtrato – può rappresentare un valido alleato del fegato
Le sostanze attive che proteggono il fegato
Gli effetti positivi sembrano derivare dalla presenza di specifici composti naturali: caffeina, acidi clorogenici – noti per la loro azione antiossidante – e diterpeni come cafestolo e kahweol. Queste molecole contribuiscono a contrastare i processi di infiammazione e di stress ossidativo, due fattori che danneggiano le cellule epatiche e favoriscono la fibrosi.
Una parte significativa delle prove disponibili proviene da studi di laboratorio o condotti su animali, quindi gli esperti sottolineano la necessità di ulteriori ricerche cliniche per confermare in modo definitivo tali risultati nell’uomo.
Caffè e steatosi epatica: più protezione che prevenzione
Un’analisi del 2021 ha rilevato che non esistono dati sufficienti per affermare che il caffè possa prevenire l’insorgenza della steatosi epatica (nota come MAFLD o NAFLD) nella popolazione generale. Tra coloro che già soffrono di questa condizione, il consumo abituale di caffè è stato associato a un rischio inferiore del 35% di sviluppare fibrosi significativa, ovvero cicatrici epatiche che indicano un peggioramento della malattia.
In sostanza, il caffè non sembra impedire l’accumulo di grasso nel fegato, ma rallenta la progressione del danno, proteggendo gli stadi più avanzati del processo patologico.
Ulteriori ricerche hanno anche osservato un effetto di regolazione sugli enzimi epatici (come ALT, AST e γ-GT), spesso utilizzati come marcatori del danno al fegato.

Gli effetti positivi sul fegato sembrerebbero legati principalmente alla riduzione della fibrosi o del tessuto cicatriziale. La ricerca sottolinea l’importanza di individuare le malattie epatiche croniche, spesso non diagnosticate, e suggerisce che anche misure semplici, come il consumo di caffè, possano contribuire a ridurre il rischio di carcinoma epatico o i sintomi della cirrosi, evidenziando la necessità di ulteriori studi clinici e valutazioni nutrizionali complete nei pazienti
Caffè, cirrosi e mortalità: un rischio più basso
La cirrosi epatica rappresenta la fase terminale della maggior parte delle patologie croniche del fegato. Diversi studi hanno collegato il consumo abituale di caffè a una riduzione della probabilità di sviluppare cirrosi e di morire per malattie epatiche croniche. Un’ampia indagine basata sui dati della UK Biobank ha mostrato che chi beve caffè ha un rischio di morte per cause epatiche quasi dimezzato (-49%) rispetto a chi non lo consuma.
Anche altre ricerche confermano il trend: due tazze al giorno possono ridurre il rischio di cirrosi del 44%, mentre quattro tazze arrivano fino a un 65% di protezione. Queste evidenze suggeriscono che un consumo regolare, senza eccessi, possa rendere il fegato più resistente ai danni nel lungo periodo.
Un effetto protettivo anche contro il tumore epatico
Il carcinoma epatocellulare (HCC), principale forma di cancro del fegato, sembra anch’esso meno frequente tra chi beve caffè. Una meta-analisi del 2023 ha evidenziato che un maggiore consumo della bevanda si associa a una riduzione significativa del rischio di HCC.
In precedenza, altri studi avevano già segnalato una protezione media del 40% nei bevitori rispetto ai non consumatori, con vantaggi più evidenti in chi assume tre o più tazze al giorno.
Il dato forse più interessante è che anche il caffè decaffeinato mostra effetti positivi, segno che non è solo la caffeina a conferire la protezione, ma l’insieme dei composti bioattivi presenti.
Quanto berne e come prepararlo
Le ricerche convergono su un punto: la quantità ideale per ottenere benefici epatici è di circa tre-quattro tazze al giorno.
Assumere dosi superiori non sembra incrementare ulteriormente i vantaggi. Per quanto riguarda la caffeina, il limite suggerito per un adulto sano è di 400 milligrammi al giorno, che corrisponde grosso modo a tre tazze. Durante gravidanza e allattamento, si raccomanda invece di non superare 200 milligrammi quotidiani.
Sia il caffè con caffeina che quello decaffeinato sono stati associati a una migliore salute epatica, suggerendo che anche le sostanze prive di effetto stimolante abbiano un ruolo protettivo.
Il metodo di estrazione del caffè influisce molto sulla presenza di diterpeni.
- Il caffè non filtrato – come quello della moka, della French press o del caffè turco – contiene maggiori quantità di cafestolo e kahweol, composti che se da un lato possono avere azione benefica sul fegato, dall’altro aumentano il colesterolo LDL.
- Al contrario, il caffè filtrato con carta trattiene la maggior parte di questi diterpeni, riducendo l’effetto negativo sui lipidi nel sangue, caratteristica importante per chi soffre di problemi cardiovascolari.
Il compromesso migliore, quindi, sembra essere l’uso del filtro di carta, che consente di mantenere buona parte dei vantaggi epatici riducendo i potenziali rischi metabolici.
Nonostante i risultati incoraggianti, gli studiosi ricordano che molte prove derivano da studi osservazionali, i quali non permettono di stabilire un rapporto di causa-effetto certo. Alcune analisi più recenti, dopo correzioni statistiche, indicano che il caffè non modifica in modo significativo la mortalità epatica, pur restando legato a una minore mortalità complessiva.
Categorie sensibili
- Bambini e adolescenti sotto i 12 anni dovrebbero evitare la caffeina.
- Durante gravidanza e allattamento è consigliabile limitarsi a circa una tazza al giorno.
- In presenza di disturbi cardiaci, reflusso, ipertensione o insonnia, oppure se si assumono farmaci che interferiscono con il metabolismo del caffè, è prudente consultare il medico prima di un consumo regolare.
- Chi ha colesterolo alto o malattie coronariche dovrebbe preferire caffè filtrato per ridurre l’assunzione di diterpeni.
Additivi eccessivi e possibili rischi
Aggiungere zucchero, panna o sciroppi può annullare gran parte dei benefici, contribuendo a sovrappeso e alterazioni metaboliche.
Inoltre, sebbene quantità molto elevate di diterpeni (come nel caffè non filtrato) possano risultare dannose, nella vita quotidiana tali dosi sono difficilmente raggiungibili. Il cafestolo, infine, è noto per modulare l’attività di alcuni enzimi epatici e dei recettori delle lipoproteine, spiegando il suo ruolo nell’aumento del colesterolo LDL.
Le evidenze indicano che questa bevanda contribuisce a ridurre il rischio di fibrosi, cirrosi e tumore epatico, oltre a migliorare la funzionalità dell’organo nelle persone con patologie croniche. Ciononostante, la comunità scientifica riconosce la necessità di studi clinici controllati per confermare definitivamente questi risultati e chiarire i meccanismi biologici coinvolti, compreso il possibile ruolo del microbiota intestinale e dei composti non caffeinici.
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