Il paracetamolo, un farmaco comune (forse il più famoso) sotto una nuova luce: quando l’uso quotidiano può diventare un rischio per il cuore
- Paracetamolo e pressione arteriosa: un legame inatteso
- Analogie con i farmaci antinfiammatori
- Studi osservazionali e conferme a lungo termine
- Le opinioni degli esperti: prudenza e consapevolezza
- Uso occasionale e uso cronico: due scenari molto diversi
- Un rischio che non riguarda tutti, ma che va riconosciuto
- Meccanismi biologici ipotizzati
- Implicazioni cliniche e importanza del monitoraggio
- Consigli pratici per un uso sicuro
- Nessun allarme, ma più attenzione
Il paracetamolo, conosciuto in altri Paesi come acetaminofene, è da decenni uno dei rimedi più diffusi e utilizzati per alleviare dolori lievi o moderati, abbassare la febbre e offrire sollievo in caso di sintomi influenzali. Nella percezione collettiva è spesso considerato un farmaco innocuo, tanto da essere assunto con leggerezza anche per lunghi periodi. La sua fama di “medicina sicura” ha radici nel fatto che, a differenza di altri analgesici come i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), il paracetamolo non irrita lo stomaco e non causa sanguinamenti gastrointestinali.
Le più recenti ricerche scientifiche starebbero però ridimensionando questa immagine rassicurante. Studi clinici condotti negli ultimi anni suggeriscono che un uso abituale e prolungato del paracetamolo potrebbe essere associato a un aumento della pressione arteriosa e, di conseguenza, a un maggior rischio di malattie cardiovascolari come infarto e ictus. Si tratta di una scoperta che obbliga sia i pazienti sia i medici a riconsiderare con attenzione le modalità di impiego di questo medicinale tanto comune.

Il paracetamolo rimane uno strumento terapeutico utile, versatile e, in generale, sicuro. Come ogni sostanza attiva, richiede rispetto e consapevolezza nel suo impiego. Le evidenze scientifiche attuali invitano a un atteggiamento di moderazione e vigilanza, non di paura
Paracetamolo e pressione arteriosa: un legame inatteso
Secondo i dati raccolti dalle nuove indagini cliniche, il consumo quotidiano di paracetamolo può produrre effetti simili a quelli osservati con l’uso continuativo dei FANS, come ibuprofene o naprossene. Questi ultimi sono noti da tempo per la loro capacità di aumentare la pressione sanguigna, interferendo con la funzione dei reni e con i meccanismi che regolano il bilancio idrosalino.
Nel caso del paracetamolo, il meccanismo preciso non è ancora completamente chiarito, ma l’evidenza clinica comincia a delinearsi con una certa coerenza. In uno studio controllato randomizzato condotto su persone affette da ipertensione, i ricercatori hanno osservato che l’assunzione giornaliera di 4 grammi di paracetamolo per due settimane ha comportato un incremento medio della pressione sistolica di circa 5 mmHg rispetto ai soggetti trattati con placebo.
Un aumento di tale entità, se mantenuto nel tempo, può sembrare modesto ma non è privo di significato clinico. È noto infatti che anche piccoli rialzi pressori, se persistenti, aumentano in modo sostanziale la probabilità di eventi cardiovascolari gravi. Per questo motivo gli autori dello studio hanno ipotizzato che l’uso regolare di paracetamolo possa incrementare il rischio di infarto o ictus fino al 20% nei soggetti predisposti.
Analogie con i farmaci antinfiammatori
La somiglianza degli effetti tra paracetamolo e FANS ha sorpreso molti specialisti. Tradizionalmente, i FANS sono stati considerati più rischiosi dal punto di vista cardiovascolare poiché agiscono inibendo gli enzimi COX-1 e COX-2, coinvolti nella produzione di prostaglandine che proteggono i vasi e i reni. Il paracetamolo, invece, ha un’azione diversa e più selettiva, che si riteneva priva di impatto sul sistema cardiovascolare.
Le nuove evidenze, però, suggeriscono che il confine tra queste due categorie farmacologiche non sia così netto come si pensava. È possibile che il paracetamolo, soprattutto a dosi elevate e per periodi prolungati, influenzi indirettamente il metabolismo renale o il controllo del sodio, contribuendo così a un incremento della pressione arteriosa. Anche se i meccanismi molecolari restano oggetto di studio, il dato clinico è abbastanza consistente da invitare alla cautela.

La vera prevenzione passa dalla conoscenza e dalla prudenza: sapere che un farmaco può avere effetti nascosti è il primo passo per utilizzarlo in modo corretto. In definitiva, la sicurezza non dipende solo dal farmaco in sé, ma dal modo in cui lo si usa
Studi osservazionali e conferme a lungo termine
Oltre agli esperimenti clinici controllati, diverse ricerche osservative di ampia scala hanno individuato una correlazione dose-dipendente tra l’uso cronico di paracetamolo e il peggioramento degli outcome cardiovascolari. In altre parole, maggiore è la quantità di farmaco assunta nel tempo, più elevata sembra la probabilità di sviluppare complicanze legate alla pressione o al sistema circolatorio.
In alcuni di questi studi, la relazione è risultata particolarmente marcata in pazienti ipertesi, diabetici o con livelli elevati di colesterolo. È importante sottolineare che non si tratta di una causa diretta dimostrata in modo definitivo, ma di un’associazione statisticamente significativa che merita ulteriori approfondimenti.
Un altro aspetto interessante riguarda le formulazioni effervescenti di paracetamolo, che spesso contengono quantità rilevanti di sodio. Questo elemento, se assunto in eccesso, è uno dei principali responsabili dell’aumento pressorio. Pertanto, l’uso prolungato di compresse effervescenti potrebbe aggravare ulteriormente il problema, soprattutto nei soggetti con tendenza all’ipertensione.
Le opinioni degli esperti: prudenza e consapevolezza
Molti studiosi concordano sul fatto che la scoperta di un potenziale effetto ipertensivo del paracetamolo non debba generare allarmismi ingiustificati, ma piuttosto promuovere un uso più consapevole del farmaco.
Il professor James Dear, farmacologo clinico presso l’Università di Edimburgo, ha evidenziato che i risultati ottenuti confermano un legame diretto tra paracetamolo e aumento della pressione arteriosa. Secondo Dear, questo dato va interpretato come un campanello d’allarme per i medici che prescrivono il farmaco a lungo termine, in particolare a pazienti già a rischio cardiovascolare.
Altri esperti hanno sottolineato che lo studio in questione è stato condotto su individui già ipertesi, quindi non è ancora certo che lo stesso effetto si verifichi anche nelle persone con valori pressori normali. Il disegno sperimentale di tipo crossover con placebo conferisce solidità ai risultati, riducendo la possibilità di errori dovuti a fattori esterni.
Al momento, non è chiaro se l’aumento pressorio osservato persista nel lungo periodo, ma è indubbio che il fenomeno meriti ulteriori verifiche, soprattutto considerando l’uso diffusissimo del farmaco nella popolazione.
Uso occasionale e uso cronico: due scenari molto diversi
È fondamentale distinguere tra l’assunzione saltuaria di paracetamolo e l’uso cronico.
Nel primo caso, quando il medicinale viene impiegato per alleviare mal di testa, febbre o dolori muscolari occasionali, non esistono evidenze che indichino rischi cardiovascolari rilevanti. Gli studi finora pubblicati concordano nel ritenere sicuro l’impiego episodico del farmaco, anche in soggetti ipertesi, purché rispettino le dosi raccomandate e non associno altre sostanze con effetto simile.
Il quadro cambia invece nei pazienti che ne fanno un uso quotidiano per gestire dolori cronici, come quelli articolari, muscolari o neuropatici. In questi casi, la pressione arteriosa tende a salire nel giro di poche settimane, per poi tornare ai valori precedenti una volta sospesa l’assunzione. Questo andamento suggerisce che il paracetamolo abbia un effetto reversibile, ma concreto, sul controllo pressorio.
Un rischio che non riguarda tutti, ma che va riconosciuto
Le persone più esposte a questo tipo di rischio sono:
- soggetti che assumono paracetamolo ogni giorno per periodi prolungati, anche senza controllo medico;
- pazienti con ipertensione preesistente, diabete o colesterolo alto;
- individui anziani, nei quali il metabolismo del farmaco è più lento e la sensibilità agli effetti collaterali più marcata;
- utenti che utilizzano formulazioni ad alto contenuto di sodio, come le compresse effervescenti.
In tali circostanze, gli esperti raccomandano di ridurre la durata del trattamento e di utilizzare sempre la dose minima efficace, cioè la quantità di farmaco necessaria per ottenere beneficio senza eccedere. Inoltre, è opportuno monitorare periodicamente la pressione arteriosa, soprattutto in chi soffre di patologie croniche.
Meccanismi biologici ipotizzati
Le cause precise dell’effetto ipertensivo del paracetamolo non sono ancora completamente comprese, ma sono state proposte diverse spiegazioni. Una possibilità è che il farmaco interferisca con la sintesi delle prostaglandine renali, molecole che regolano l’equilibrio tra vasodilatazione e ritenzione idrica.
Altri ricercatori suggeriscono che l’acetaminofene possa influenzare l’attività dell’enzima ossido nitrico sintasi, riducendo la produzione di ossido nitrico, una sostanza chiave per il rilassamento dei vasi sanguigni. Un’altra ipotesi prende in considerazione il metabolismo epatico del farmaco: in presenza di assunzioni prolungate, potrebbero formarsi metaboliti reattivi in grado di modificare la funzione vascolare o renale.
Queste ipotesi non sono ancora dimostrate in modo definitivo, ma sottolineano la complessità dell’interazione tra il paracetamolo e il sistema cardiovascolare.

Assumere il paracetamolo per brevi periodi, nelle dosi consigliate e sotto guida medica, continua a rappresentare una scelta appropriata. Ma quando il suo utilizzo diventa quotidiano, specie in chi soffre di ipertensione o malattie cardiovascolari, è opportuno discuterne con il proprio medico per individuare strategie alternative o modalità di controllo più sicure
Implicazioni cliniche e importanza del monitoraggio
L’impatto di un modesto aumento pressorio potrebbe sembrare poco rilevante sul piano individuale, ma diventa significativo se considerato su larga scala. In una popolazione in cui milioni di persone assumono paracetamolo ogni giorno, anche un piccolo incremento medio della pressione arteriosa può tradursi in migliaia di eventi cardiovascolari aggiuntivi ogni anno.
Per questo motivo, diverse società scientifiche invitano a una valutazione periodica della terapia analgesica nei pazienti che ne fanno uso regolare. Rivalutare la necessità del farmaco, cercare alternative non farmacologiche (come fisioterapia, tecniche di rilassamento, attività fisica moderata) o considerare altri analgesici più adatti in base al profilo del paziente può ridurre significativamente i rischi.
Consigli pratici per un uso sicuro
Sulla base delle attuali conoscenze, si possono formulare alcune raccomandazioni pratiche:
- Non interrompere mai bruscamente una terapia prescritta senza aver consultato il medico.
- Discutere con il proprio medico di base se l’assunzione regolare di paracetamolo è davvero necessaria o se esistono alternative.
- Controllare regolarmente la pressione arteriosa, soprattutto in caso di uso quotidiano o se si è ipertesi.
- Evitare le formulazioni effervescenti, preferendo quelle prive di sodio aggiunto.
- Usare la dose minima efficace per il periodo più breve possibile.
- Tenere un diario dell’assunzione, utile per condividere con il medico la frequenza e l’efficacia del trattamento.
Queste indicazioni non vogliono generare paura, ma favorire un approccio più informato e responsabile nei confronti di un farmaco che, sebbene molto diffuso, non è privo di effetti sistemici.
Nessun allarme, ma più attenzione
È importante ribadire che l’uso occasionale di paracetamolo resta sicuro e non comporta rischi significativi per la maggior parte della popolazione. I problemi emergono quando il medicinale diventa una presenza costante nella routine quotidiana, in particolare in persone già affette da ipertensione o altre patologie cardiovascolari.
In altre parole, il paracetamolo non deve essere demonizzato, ma usato con consapevolezza. La percezione di sicurezza assoluta che lo accompagna da decenni potrebbe indurre alcuni pazienti a sottovalutare i potenziali effetti collaterali, prolungando l’assunzione senza un reale controllo medico.
Il messaggio principale che emerge dagli studi più recenti è chiaro: anche i farmaci più comuni possono avere impatti inattesi se utilizzati in modo cronico. La medicina moderna ci insegna che la distinzione tra “sicuro” e “pericoloso” non è mai assoluta, ma dipende dal contesto, dalla dose e dalla durata dell’esposizione.
Alla luce di queste scoperte, il rapporto fra medico e paziente assume un ruolo ancora più centrale. La comunicazione aperta e continua consente di personalizzare la terapia analgesica, bilanciando benefici e rischi. È auspicabile che ogni prescrizione di paracetamolo per uso prolungato venga accompagnata da un piano di monitoraggio della pressione arteriosa e da una revisione periodica della terapia.
Per i cittadini, questo rappresenta anche un invito a non banalizzare l’automedicazione. Anche un farmaco disponibile senza ricetta non è esente da conseguenze se usato impropriamente. La salute cardiovascolare, infatti, è influenzata da molteplici fattori — dieta, stress, fumo, attività fisica — e un farmaco apparentemente neutro può alterare questo equilibrio se introdotto in modo costante.
- MacIntyre IM et al., „Regular Acetaminophen Use and Blood Pressure in People with Hypertension (PATH-BP trial)“, Circulation (2022)Studio randomizzato, doppio-cieco, crossover: somministrazione quotidiana di 4 g di acetaminofene per due settimane in soggetti ipertesi ha prodotto un aumento medio della pressione sistolica di ~5 mmHg rispetto al placebo. Fonte primaria e trial citato nelle segnalazioni scientifiche.
- British Heart FoundationSintesi divulgativa del significato clinico dei risultati, sottolineando il possibile incremento del rischio cardiovascolare e le raccomandazioni di prudenza per l’uso prolungato. Utile per il contesto pubblico e le implicazioni di salute pubblica
- Science Media CentreRaccolta di valutazioni di esperti esterni che commentano il disegno dello studio (crossover, robustezza) e i limiti (soggetti già ipertesi; durata breve), utile per interpretare criticamente i risultati
- EurekAlert! / University of Edinburgh press releaseComunicato universitario che riassume i risultati del trial PATH-BP e le possibili implicazioni cliniche, ripreso da media internazionali; fonte utile per citare le dichiarazioni ufficiali dei ricercatori
- MedscapeArticolo di aggiornamento clinico rivolto a operatori sanitari che riassume i dati principali, il potenziale impatto e le raccomandazioni pratiche (monitoraggio pressione, rivalutazione terapie analgesiche). Utile come fonte divulgativa orientata ai professionisti