Cos’è l’esame degli anticorpi anti-fosfolipidi (aPL), come si esegue, quando viene richiesto e come interpretare i risultati
Gli anticorpi anti-fosfolipidi (aPL) sono autoanticorpi, cioè difese immunitarie che, invece di agire contro agenti esterni, si rivolgono contro alcune componenti del corpo stesso. In particolare, questi anticorpi prendono di mira i fosfolipidi, molecole lipidiche fondamentali per la struttura delle membrane cellulari e per i meccanismi che regolano la coagulazione del sangue, oppure le proteine che si legano a tali fosfolipidi.
Tra le principali proteine coinvolte figurano l’anticardiolipina, l’anti-β₂-glicoproteina I e il cosiddetto Lupus anticoagulante (LAC), un tipo di anticorpo che, pur mostrando proprietà anticoagulanti nei test di laboratorio, nell’organismo aumenta il rischio di formazione di trombi. Gli anticorpi anti-fosfolipidi possono appartenere a diverse classi di immunoglobuline, come IgG, IgM o, meno frequentemente, IgA. Non sempre però la loro presenza è indice di malattia: talvolta compaiono in forma transitoria o a livelli bassi, senza causare conseguenze cliniche.
Dal punto di vista funzionale, questi anticorpi non svolgono un ruolo benefico per l’organismo, ma possono invece essere patogeni, favorendo alterazioni nel sistema della coagulazione. La loro azione si manifesta principalmente attraverso l’attivazione dell’endotelio vascolare, delle piastrine e del sistema del complemento, con conseguente risposta infiammatoria e aumento della tendenza alla formazione di coaguli. In particolare, gli anticorpi anti-β₂-glicoproteina I possono ridurre l’attività di proteine che normalmente limitano la coagulazione o stimolare cellule immunitarie che ne favoriscono l’attivazione.
Il risultato è uno stato di ipercoagulabilità, cioè una maggiore predisposizione a formare trombi venosi o arteriosi, che possono manifestarsi come trombosi venosa profonda, ictus o infarto. Nei soggetti affetti, possono inoltre comparire complicanze in gravidanza, come aborti ricorrenti, ritardo di crescita fetale o preeclampsia, dovute a un’alterazione della circolazione placentare. In alcuni casi si osservano anche trombocitopenia (riduzione delle piastrine nel sangue) o altre anomalie ematologiche, come anemia emolitica o microtrombosi che compromettono il funzionamento di diversi organi.

Valori normali, quando e come, perché viene richiesto questo esame. Gli anticorpi anti-fosfolipidi rappresentano una risposta autoimmune anomala che altera i normali processi di coagulazione, generando un rischio aumentato di eventi trombotici e complicanze vascolari, con manifestazioni che possono variare da forme lievi a situazioni cliniche di estrema gravità
La forma più grave di questa condizione è nota come sindrome catastrofica da anticorpi antifosfolipidi (CAPS), in cui trombosi multiple colpiscono contemporaneamente vari organi, portando a un quadro clinico di insufficienza multi-organo potenzialmente letale.
Gli anticorpi anti-fosfolipidi sono anticorpi che si rivolgono principalmente contro i fosfolipidi o contro le proteine che si legano ad essi, che in condizioni fisiologiche hanno invece un ruolo fondamentale nel mantenimento dell’equilibrio cellulare e della coagulazione del sangue.
I fosfolipidi sono componenti essenziali delle membrane cellulari, dove garantiscono stabilità, permeabilità selettiva e comunicazione tra l’interno e l’esterno della cellula. Inoltre, partecipano attivamente alla cascata coagulativa, offrendo una superficie su cui agiscono gli enzimi responsabili della formazione dei coaguli. Le proteine plasmatiche legate ai fosfolipidi, come la β₂-glicoproteina I o la protrombina, svolgono una funzione di controllo della coagulazione e di protezione delle cellule endoteliali, assicurando il giusto equilibrio tra coagulazione e anticoagulazione.
Quando il sistema immunitario produce anticorpi diretti contro questi complessi, si crea una condizione patologica. Gli anticorpi anti-fosfolipidi interagiscono con le cellule endoteliali dei vasi sanguigni, le piastrine, le proteine della coagulazione e il sistema del complemento, provocando uno stato di infiammazione e ipercoagulabilità. Questa reazione anomala favorisce l’aggregazione piastrinica e la formazione di trombi nei vasi, alterando il normale flusso sanguigno e predisponendo a complicanze vascolari o a episodi trombotici.
Come interpretare i valori dell’esame: alti, bassi e valori normali
L’interpretazione dei valori deve essere eseguita con attenzione, considerando sia il metodo di analisi impiegato sia il quadro clinico generale del paziente. Inoltre, per essere significativa, la presenza di questi anticorpi deve essere confermata nel tempo attraverso test ripetuti.
Gli esami più utilizzati per individuare gli anticorpi antifosfolipidi sono quelli che ricercano gli anticorpi anticardiolipina (aCL), gli anticorpi anti-β₂-glicoproteina I (anti-β₂GPI) e il Lupus anticoagulante (LAC), quest’ultimo basato su un effetto funzionale della coagulazione piuttosto che su una misurazione diretta. I valori di riferimento possono variare leggermente da laboratorio a laboratorio, ma in generale valori inferiori a 10–15 unità per gli aCL e inferiori a 7 U/ml per gli anti-β₂GPI vengono considerati negativi. Nel caso del LAC, la valutazione si basa sull’allungamento dei tempi di coagulazione piuttosto che su una concentrazione numerica.
I risultati negativi o bassi indicano l’assenza di quantità rilevanti di anticorpi e rendono poco probabile il coinvolgimento nella sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APS), anche se la diagnosi non può essere esclusa del tutto. In alcuni casi, una lieve positività può essere temporanea, associata a infezioni o all’assunzione di farmaci.
I valori borderline o indeterminati si collocano in una zona grigia (ad esempio tra 10 e 40 unità per gli aCL) e richiedono ulteriori verifiche nel tempo per stabilire se si tratti di una positività persistente o transitoria.
I valori elevati, invece, sono clinicamente più significativi. Un titolo superiore a 40 unità per gli anticorpi anticardiolipina o un valore oltre il 99° percentile per gli anti-β₂GPI è considerato patologico. La diagnosi di APS richiede che la positività sia stabile nel tempo (almeno in due misurazioni a distanza di 12 settimane) e che siano presenti manifestazioni cliniche compatibili, come trombosi o complicanze in gravidanza.
Parametro / test | Valori di riferimento (esempi) | Sintomi/manifestazioni cliniche associabili | Patologie correlate / significato clinico | Note aggiuntive |
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Anticardiolipina (aCL) IgG | Negativo: < 10–23 GPL (varia per laboratorio). Debole/indeterminato: ≈ 10–40 GPL. Positivo significativo: ≥ 40 GPL (o >99° percentile). | Spesso asintomatico se isolato; se clinicamente rilevante: trombosi venose (DVT), ictus, infarto. | Positività persistente (con manifestazioni cliniche) compatibile con sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APS). Titoli moderati-alti aumentano il rischio trombotico. | Usare i valori di cut-off del laboratorio che ha eseguito il test; per diagnosi APS servono positività persistente (ripetere dopo ≥12 settimane). |
Anticardiolipina (aCL) IgM | Negativo: < 10–12.5 MPL (varia per laboratorio). Zona grigia: ≈ 10–40 MPL. Positivo: ≥ 40 MPL. | Simile a IgG ma meno predittivo di eventi trombotici se isolato. | Positività isolata IgM, soprattutto a basso titolo, ha minore significato clinico rispetto alla IgG; valutare insieme ad altri test. | Valutare in combinazione con aCL IgG e anti-β₂GPI; titoli bassi spesso transitori. |
Anti-β₂-glicoproteina I (anti-β₂GPI) IgG / IgM | Negativo: tipicamente < 7–20 U/ml a seconda del metodo. Indeterminato: 7–10 U/ml (alcuni laboratori). Positivo: >10 U/ml o >99° percentile (metodo-dipendente). | Quando clinicamente rilevante: trombosi venose/arteriose, aborti ricorrenti, complicanze placentari. | Valori moderati-alti e persistenti sono fortemente associati ad APS; anti-β₂GPI IgG ha buona correlazione con rischio trombotico. | I cut-off e le unità variano secondo kit/method; interpretare in contesto clinico e ripetere il test dopo ≥12 settimane per conferma. |
Lupus anticoagulant (LAC / LA) | Non ha unità come gli altri: risultato qualitativo (negativo/positivo). Positivo se i test di coagulazione (es. dRVVT, aPTT modificato) mostrano un allungamento non corretto da miscele e soddisfano i criteri di conferma. | Può associarsi a trombosi venose e arteriose; spesso presente in APS clinicamente significativo. | LAC è uno dei test di laboratorio criteriali per APS; presenza persistente su ≥2 test a ≥12 settimane conferma rilevanza. | Richiede algoritmi standardizzati (ISTH/ISTH-SSC) per esecuzione e interpretazione. LAC può essere influenzato da anticoagulanti in terapia (es. eparina, DOAC) — informare il laboratorio. |
Risultati “negativi” | Valori al di sotto del cut-off del laboratorio per i test quantitativi; LAC non evidenziato nei tempi di coagulazione. | Assenza di segni legati ad aPL dovuti esclusivamente a questi test; non esclude altre cause di trombosi. | Bassa probabilità che gli aPL abbiano ruolo causale; tuttavia, valutare quadro clinico complessivo. | Positività transitoria può verificarsi dopo infezioni o farmaci; ripetere solo se clinicamente indicato. |
Risultati “borderline / debole positività” | Titoli lievi (es. 10–40 GPL/MPL o range similare) o risultati indeterminati | Generalmente asintomatici; rischio trombotico basso-moderato se isolati | Spesso non clinicamente rilevanti se non persistono o se non supportati da manifestazioni cliniche | Richiedono controllo ripetuto a ≥12 settimane e valutazione combinata (triplo test: LAC, aCL, anti-β₂GPI). |
Valori elevati / titoli alti | Esempio guida: aCL ≥40 GPL/MPL o ≥99° percentile; anti-β₂GPI >99° percentile | Maggiore probabilità di trombosi ricorrenti, complicanze ostetriche e eventi vascolari | Titoli elevati e persistenti supportano diagnosi di APS e richiedono valutazione e possibile terapia preventiva (anticoagulazione) | La gestione terapeutica dipende dalla storia clinica; la sola positività laboratoristica senza eventi può non richiedere anticoagulazione permanente. |
Complicanze ostetriche tipiche | — | Abortività ricorrente (soprattutto II-III trimestre), ritardo di crescita fetale, preeclampsia severa, morte fetale | APS ostetrico: correlazione con aPL persistenti; gestione con terapia ostetrica-ematologica dedicata | Diagnosi e gestione richiedono team multidisciplinare (ginecologo, ematologo). |
Sindrome catastrofica (CAPS) | — | Insufficienza multi-organo dovuta a trombosi diffuse e rapide | Forma rara ma potenzialmente letale di APS; trattamento intensivo urgente (anticoagulazione, immunosoppressione, plasmaferesi) | Richiede riconoscimento e trattamento tempestivi in ambiente ospedaliero specializzato. |
Un risultato positivo isolato non basta per diagnosticare la sindrome da anticorpi antifosfolipidi: occorre la presenza di segni clinici e la conferma della positività nel tempo. Le deboli positività, soprattutto se transitorie, di solito non hanno un significato patologico. Al contrario, titoli elevati e persistenti, in particolare per gli anticorpi aCL e anti-β₂GPI, sono associati a un rischio maggiore di eventi trombotici. L’interpretazione finale deve sempre tener conto di altri fattori di rischio, come fumo, ipertensione o dislipidemia, e della necessità di un eventuale monitoraggio o trattamento preventivo.
Come si esegue l’esame e quando viene richiesto?
L’esame per la ricerca degli anticorpi anti-fosfolipidi (aPL) è un test di laboratorio volto a individuare autoanticorpi diretti contro i fosfolipidi o contro proteine plasmatiche ad essi associate, come la β₂-glicoproteina I e la protrombina. L’analisi si effettua mediante un prelievo di sangue venoso e viene prescritta principalmente in presenza di sospetti clinici di eventi trombotici o complicanze ostetriche di origine autoimmune.
Il test comprende tre principali tipologie di analisi: la rilevazione degli anticorpi anticardiolipina (aCL) e degli anticorpi anti-β₂-glicoproteina I (anti-β₂GPI) tramite metodo ELISA, e la valutazione del Lupus anticoagulant (LAC), che misura l’effetto degli anticorpi sui tempi di coagulazione attraverso test funzionali specifici (dRVVT e aPTT diluito).
In caso di positività, l’esame deve essere ripetuto dopo almeno 12 settimane per confermare la persistenza della positività, requisito indispensabile per la diagnosi di sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APS). I referti sono generalmente disponibili entro due-cinque giorni lavorativi, a seconda del laboratorio.
L’esame viene indicato in caso di trombosi arteriose o venose inspiegabili, aborti spontanei ricorrenti, morte fetale intrauterina, preeclampsia grave, o trombocitopenia di origine ignota. È anche utile nel sospetto di malattie autoimmuni come il lupus eritematoso sistemico, o per il monitoraggio di pazienti già diagnosticati con APS.
Per ottenere risultati attendibili, il test non deve essere eseguito durante infezioni acute o immediatamente dopo un evento trombotico, e occorre segnalare eventuali terapie anticoagulanti che possono interferire con l’analisi.
L’interpretazione dei risultati deve essere affidata a specialisti (ematologi, internisti o reumatologi), poiché i valori vanno valutati nel contesto clinico complessivo.
Fattori che influenzano l’esame
L’attendibilità dell’esame per la ricerca degli anticorpi anti-fosfolipidi (aPL) può essere influenzata da diversi fattori biologici, clinici, farmacologici e tecnici, che talvolta determinano falsi positivi o negativi. Per questo motivo è essenziale interpretare i risultati nel contesto clinico complessivo e, se necessario, ripetere il test.
Dal punto di vista biologico e clinico, infezioni acute o recenti, come quelle da virus Epstein-Barr, HIV o epatite C, possono indurre una produzione temporanea di anticorpi antifosfolipidi senza valore patologico. Anche la gravidanza, a causa delle variazioni fisiologiche della coagulazione e dell’attività immunitaria, può influire temporaneamente sui risultati. L’età avanzata, la predisposizione genetica o la presenza di malattie autoimmuni (come lupus, sclerodermia o tiroidite autoimmune) possono inoltre determinare variazioni dei livelli anticorpali.
Tra i fattori farmacologici, i trattamenti con anticoagulanti (eparina, warfarin, DOACs) possono interferire con i test di coagulazione, in particolare con la ricerca del Lupus anticoagulantE. Anche i contraccettivi orali, la terapia ormonale sostitutiva e i corticosteroidi possono modificare i risultati, aumentando o riducendo temporaneamente i livelli degli anticorpi.
Dal punto di vista tecnico e preanalitico, la corretta raccolta e conservazione del campione è fondamentale: errori nella manipolazione del sangue, tempi di processamento troppo lunghi o temperature inadeguate possono compromettere l’analisi. Inoltre, le differenze metodologiche tra laboratori (cut-off e procedure differenti) possono generare discrepanze nei risultati.
Infine, condizioni temporanee o fisiologiche come stress, infiammazione sistemica o vaccinazioni recenti possono determinare un aumento momentaneo degli anticorpi antifosfolipidi.