Emoglobinuria Parossistica Notturna (EPN) è patologia rara del sangue caratterizzata da anemia emolitica, trombosi e insufficienza midollare: sintomi, diagnosi e trattamenti aggiornati

L’Emoglobinuria Parossistica Notturna (EPN), nota anche con l’acronimo anglosassone PNH (Paroxysmal Nocturnal Hemoglobinuria), è una condizione ematologica infrequente di natura acquisita, che interessa le cellule staminali emopoietiche. Si tratta di una malattia clonale che comporta distruzione cronica dei globuli rossi, formazione di coaguli sanguigni in distretti vascolari insoliti e, in una quota significativa di pazienti, compromissione della funzione del midollo osseo.

Emoglobinuria parossistica notturna

La cura dell’EPN oggi beneficia di terapie efficaci, con risposte anche in pochi mesi, e una pipeline in progress verso trattamenti orali, formulazioni più comode e approcci personalizzati, ponendo solide basi per miglioramento continuo nella gestione clinica

Dal punto di vista epidemiologico, l’EPN ha una prevalenza estremamente bassa, oscillando tra 1 e 15 casi ogni milione di abitanti all’anno, con variazioni legate all’area geografica e alla disponibilità di diagnosi specialistiche.

La base molecolare della malattia risiede in una mutazione acquisita del gene PIGA, situato sul cromosoma X. Questo gene è cruciale per la biosintesi di una classe di glicolipidi chiamati GPI (glicosil-fosfatidil-inositolo), fondamentali per ancorare alla superficie cellulare specifiche proteine regolatrici. In assenza di una corretta espressione del gene PIGA, le cellule del sangue non sono più in grado di esprimere proteine chiave come CD55 e CD59, deputate a inibire l’attacco del sistema del complemento.

La carenza di queste protezioni rende le cellule del sangue, in particolare i globuli rossi, vulnerabili alla lisi mediata dal complemento, determinando emolisi intravascolare persistente, ossia la distruzione dei globuli rossi all’interno dei vasi sanguigni.

Sintomi

Il quadro clinico dell’EPN è eterogeneo, ma si riconoscono sintomi e segni distintivi che permettono l’orientamento diagnostico:

  • Emolisi intravascolare cronica: La rottura dei globuli rossi può essere particolarmente evidente durante la notte, per motivi non del tutto chiari. Questo fenomeno provoca spesso urine scure al mattino, dovute alla presenza di emoglobina libera escreta dai reni.
  • Anemia e sintomi correlati: L’emolisi determina una riduzione della massa eritrocitaria, con conseguente astenia, fiato corto e palpitazioni, segni tipici di un’insufficienza di trasporto dell’ossigeno. I valori emoglobinici variano in base alla gravità della malattia e all’intensità dell’emolisi, ma comunemente si osservano livelli inferiori a 12 g/dL nelle donne e 13,5 g/dL negli uomini, soglie considerate indicatrici di anemia.
  • Episodi trombotici: Una delle complicanze più severe dell’EPN è la trombosi venosa, che può interessare sedi inusuali come le vene sovraepatiche, mesenteriche o cerebrali. Questi eventi sono presenti in circa il 40% dei pazienti e rappresentano una delle principali cause di mortalità nella popolazione affetta.
  • Disfunzione del midollo osseo: In una percentuale variabile di casi, si osserva una riduzione generalizzata della produzione di cellule ematiche (pancitopenia) o, nei casi più gravi, una aplasia midollare completa, condizione che può sovrapporsi a sindromi come l’anemia aplastica.

Il disturbo più diffuso è l’affaticamento intenso (fatigue), segnalato da circa l’80–96% dei pazienti, spesso percepito come uno degli aspetti più invalidanti della malattia. L’anemia, causata dalla distruzione dei globuli rossi, determina sintomi come pallore, fiato corto, tachicardia e sensazione di capogiro. Un altro segno distintivo è l’emoglobinuria, ovvero la presenza di emoglobina nelle urine, che al mattino possono apparire scure a causa dell’emolisi notturna. La dispnea (difficoltà respiratoria), i mal di testa ricorrenti e il dolore addominale completano il quadro sintomatologico comune, interessando rispettivamente circa il 60% dei pazienti.

Con frequenza intermedia (30–60% dei casi) possono comparire dolore toracico o un senso di peso al petto, dolori muscolari localizzati alla schiena o alle gambe, e disturbi cognitivi, come difficoltà di concentrazione. Alcuni riferiscono disturbi del sonno o disfagia, ossia difficoltà o dolore durante la deglutizione.

Meno frequentemente, si osservano manifestazioni come la disfunzione erettile negli uomini, riscontrata in circa il 38% dei casi. Possono inoltre svilupparsi ipertensione polmonare o insufficienza renale progressiva, soprattutto nei casi più avanzati. In alcuni pazienti si presentano sanguinamenti anomali, dolori articolari e disturbi intestinali. Raramente, soprattutto in presenza di particolari mutazioni genetiche (come quella del gene PIGT), si manifestano sintomi infiammatori sistemici, tra cui orticaria o episodi di meningite asettica.

SintomoFrequenzaSpiegazione semplificata
AffaticamentoMolto comuneSensazione di stanchezza estrema dovuta alla mancanza di globuli rossi.
Pallore, respiro affannosoComuneDovuto all’anemia, con ridotto ossigeno nel sangue.
Urine scure (emoglobinuria)ComuneBolle di emoglobina nei reni che causano urine di colore scuro al risveglio.
Mal di testaComunePuò derivare da anemia o minore ossigenazione cerebrale.
Dolori addominaliComuneCrampi o dolore nella pancia causati dalla carenza di ossigeno o spasmo muscolare.
Dolore al pettoMeno comuneSensazione di pesantezza o contrazione toracica.
Difficoltà respiratorieMeno comuneAccade quando l’anemia è significativa o vi sono complicanze vascolari.
Debolezza muscolareMeno comuneDebolezza dei muscoli per ridotta energia (ossigeno disponibile).
Problemi di concentrazioneMeno comuneConfusione o dimenticanze dovute a stress emodinamico e anemia.
Disturbi del sonnoMeno comuneInsonnia o risvegli notturni legati a sintomi fisici.
Difficoltà nel deglutireRaroCrampi nel tubo digerente possono rendere la deglutizione dolorosa.
Problemi sessualiRaroIn uomini, disfunzione erettile per spasmi vascolari; in donne, diminuzione del desiderio.
Ipertensione polmonareRaroPressione alta nei polmoni dovuta all’emolisi cronica e danno vascolare.
Insufficienza renaleRaroDanno renale progressivo causato dal filtraggio di emoglobina libera.
Sangue dal naso o altroRaroLeggeri episodi emorragici dovuti alla fragilità capillare.
Eruzioni e infiammazioniRarissimoUrticaria o meningiti asettiche in forme particolari con mutazioni infiammatorie.
TrombosiComplicanzaFormazione di coaguli in vene o arterie, può essere grave o letale.
PancitopeniaComplicanzaRiduzione globuli bianchi, rossi e piastrine in forme con compromissione midollare.
Sindrome di Budd‑ChiariComplicanzaTrombosi venosa epatica con possibile edema addominale e dolore intenso.

Diagnosi

La diagnosi dell’EPN si fonda sull’utilizzo della citometria a flusso, una metodica altamente sensibile in grado di identificare la presenza o l’assenza delle proteine ancorate tramite GPI (quali CD55 e CD59) sulle membrane di globuli rossi, globuli bianchi e piastrine.

Esami complementari utili comprendono:

  1. Elevati livelli sierici di lattato deidrogenasi (LDH), indice biochimico di emolisi;
  2. Aumento dei reticolociti, indicativo di una risposta rigenerativa del midollo osseo alla perdita di eritrociti.

Questi parametri, se considerati insieme, permettono una diagnosi accurata e tempestiva, fondamentale per iniziare precocemente il trattamento e prevenire complicanze.

La diagnosi richiede un percorso clinico-strumentale accurato e multidisciplinare, basato su metodiche specifiche e linee guida consolidate a livello internazionale. La complessità della malattia, che può presentarsi con quadri clinici variabili e talvolta sovrapposti ad altre patologie ematologiche, impone l’utilizzo di strumenti diagnostici sensibili, precisi e ripetibili nel tempo.

Strumento diagnosticoA cosa serveCosa prevede
Citometria a flussoDiagnosi e stima del “clone” PNHPrelievo sangue; valutazione CD55, CD59, FLAER
HSFCScoprire cloni minimi (<1 %)Citometria ad alta sensibilità
Esami emolitici (LDH, reticolociti, aptoglobina, bilirubina)Misurare l’attività emoliticaNormali o alterati, supportano diagnosi
Test obsoleti (Ham, sucrose)Erano usati in passatoNon più consigliati
Biopsia midollare + citogeneticaDistinguere forme associate a grave insufficienza midollareAspirato e analisi cromosomica
PIGA gene mutation testConfermare la mutazione geneticaNon ancora routine, solo ricerca
Linee guida & scale valutativeDefinire quando fare i test e come interpretarliProtocolli ICCS, EBMT, PESG

La citometria a flusso rappresenta lo standard diagnostico di riferimento per l’EPN. Questo test permette di rilevare la mancanza o la riduzione delle proteine legate al GPI (glicosilfosfatidilinositolo), in particolare CD55 e CD59, sulla superficie di globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. L’analisi consente di individuare i cloni cellulari PNH (tipi I, II e III) e di valutarne la dimensione, aspetto essenziale per la classificazione e la gestione clinica.

In casi specifici, come nei pazienti con aplasia midollare o sindromi mielodisplastiche (MDS), si ricorre a modalità ad alta sensibilità (HSFC), capaci di identificare cloni minimi (fino allo 0,01%).

Tra gli strumenti di conferma, il test FLAER utilizza una tossina modificata (aerolisina) marcata per rilevare direttamente l’ancoraggio delle proteine GPI su granulociti e monociti, con un’elevata affidabilità.

Al contrario, i test più datati come il test del saccarosio (sucrose lysis test) e il Ham test sono ormai considerati obsoleti per la loro bassa sensibilità e specificità, e non vengono più impiegati nella pratica clinica corrente.

Una serie di parametri ematochimici supportano la diagnosi e il monitoraggio dell’attività emolitica:

Nei casi in cui si sospetti una concomitante patologia midollare (come aplasia, pancitopenia o MDS), è indicato l’esame morfologico del midollo osseo, accompagnato da citogenetica molecolare. Questi dati sono essenziali per la stadiazione della malattia e per valutare l’indicazione a trattamenti intensivi come il trapianto.

La mutazione del gene PIGA, responsabile dell’EPN, può essere ricercata a fini di conferma molecolare. Tale analisi è al momento riservata a contesti di ricerca clinica avanzata e non fa parte della routine diagnostica.

Le principali società scientifiche internazionali (ICCS, EBMT, PESG) hanno stabilito protocolli per l’esecuzione e la lettura dei test diagnostici, definendo anche i criteri clinici che devono far sospettare l’EPN:

  • LDH ≥ 1,5 volte il limite superiore della norma
  • Reticolocitosi persistente
  • Test di Coombs diretto negativo
  • Episodi ricorrenti di emoglobinuria
  • Citopenie inspiegate
  • Trombosi in sedi atipiche (vene epatiche, cerebrali, mesenteriche)
Situazione clinicaIndicazione diagnostica
Presenza di anemia, urine scure, trombosi insoliteRichiesta di citometria a flusso
Diagnosi di aplasia midollare o MDSCitometria anche in assenza di sintomi, da ripetere annualmente
Necessità di accuratezza diagnosticaEvitare trasfusioni nelle 4 settimane precedenti l’esame
Valutazione della gravitàDimensione del clone: <10% (spesso silente), >50% (malattia classica)
Rischio trombotico elevatoSe LDH ≥ 1.5 ULN, monitoraggio più serrato necessario
Controlli dopo la diagnosiCitometria ogni 6 mesi nei primi 2 anni, poi annuale se stabile
Approfondimento in casi complessiBiopsia midollare e, in contesti avanzati, analisi genetica PIGA

Cura

Quando il quadro anemico associato all’EPN assume caratteristiche severe, con livelli di emoglobina significativamente compromessi, può rendersi necessaria la somministrazione di trasfusioni concentrate di eritrociti allo scopo di ripristinare un’adeguata capacità di trasporto dell’ossigeno da parte del sangue periferico. Questo intervento, sebbene sintomatico e non risolutivo della patologia di base, rappresenta un presidio fondamentale nella gestione delle fasi acute.

L’impiego di glucocorticoidi sistemici, come ad esempio il prednisolone, è stato storicamente utilizzato per mitigare l’attività emolitica attraverso un meccanismo anti-infiammatorio e immunosoppressivo. Le attuali evidenze scientifiche non confermano con sufficiente robustezza l’efficacia di tale strategia nel trattamento dell’EPN, e il suo utilizzo rimane controverso e circoscritto a situazioni particolari, in assenza di opzioni terapeutiche più specifiche.

Farmaci inibitori del complemento

Le terapie biologiche mirate alla cascata del complemento hanno rappresentato una svolta significativa nella gestione clinica dell’EPN. Tali trattamenti sono incentrati sull’inibizione farmacologica del sistema del complemento, una componente chiave dell’immunità innata che, in questi pazienti, risulta iperattivata a causa della carenza delle proteine regolatorie CD55 e CD59 sulla superficie cellulare.

Tra i principali agenti disponibili si annoverano:

  • Eculizumab e ravulizumab (commercializzato come Ultomiris), anticorpi monoclonali umanizzati diretti contro il componente C5 del complemento, in grado di bloccarne la scissione e prevenire la formazione del complesso di attacco alla membrana (MAC). Questi farmaci hanno dimostrato di ridurre in modo significativo l’emolisi intravascolare, migliorare la qualità di vita e abbassare l’incidenza di eventi tromboembolici nei soggetti trattati.
  • Crovalimab (PiaSky), anch’esso inibitore di C5, si distingue per il suo profilo farmacocinetico favorevole, che consente una somministrazione meno frequente e potenzialmente migliora l’aderenza terapeutica.

Inoltre, l’attenzione della ricerca si sta ora concentrando su inibitori orali di nuova generazione, progettati per agire su altri punti della cascata del complemento, con l’obiettivo di controllare anche la emolisi extravascolare:

  • Danicopan (Voydeya) agisce a livello del fattore D,
  • Iptacopan (Fabhalta) interferisce con il fattore B,
  • Pegcetacoplan, che si lega direttamente alla proteina C3, agisce più a monte nella cascata.

Questi agenti rappresentano una nuova frontiera della terapia, offrendo una modalità di somministrazione più comoda (orale) e un controllo prolungato dell’emolisi, anche nei casi non completamente responsivi agli inibitori di C5.

La trombosi costituisce una delle principali complicanze dell’EPN, con un rischio particolarmente elevato di formazione di coaguli in sedi venose atipiche, quali il sistema portale, le vene epatiche o cerebrali. In presenza di eventi trombotici conclamati, la terapia anticoagulante orale, con farmaci come il warfarin, rappresenta lo standard terapeutico. Dato il rischio elevato di recidiva, in molti casi si rende necessaria una profilassi a lungo termine.

Nei casi di EPN con evoluzione particolarmente aggressiva, o in presenza di aplasia midollare severa associata, può essere preso in considerazione il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche (HSCT). Questo trattamento rappresenta, ad oggi, l’unica strategia potenzialmente curativa, in quanto consente la sostituzione del clone patologico con un nuovo sistema ematopoietico sano. A fronte del potenziale beneficio curativo, il trapianto comporta rischi significativi, tra cui malattia da rigetto dell’ospite (GVHD), infezioni opportunistiche, tossicità da condizionamento, e pertanto viene riservato ai pazienti con forme refrattarie alle terapie convenzionali o con coinvolgimento midollare grave.

TerapiaTempistica di rispostaObiettivo principale
Eculizumab / RavulizumabEmolisi ridotta entro ~12 settimane; terapia continuaInibire il complemento C5, diminuire emolisi e trombosi
Pegcetacoplan (C3 inibitore)Norm. aumento emoglobina in 16–26 settimaneControllare anemia intravascolare/estravascolare, ridurre trasfusioni
CrovalimabNuova inibizione C5, potenziale somministrazione meno frequenteAlternative subcutanee/intravenose con pitch somministrativi comodi
Inibitori orali (danicopan, iptacopan)Studi in fase II/III; risposta da settimane a mesiTrattamenti domiciliare con target su vie alternative del complemento
TrasfusioniEffetto immediato, copertura a breve termineRisolvere anemia grave in attesa o in associazione a terapie specifiche
Anticoagulanti (es. warfarin)Precoce in controcoagulazione, a volte continuativaPrevenzione o controllo della trombosi
Trapianto allogenicoPazienti selezionati; risposta potenzialmente definitiva, ma elevato rischioGuarigione possibile ma limitata a casi severi
Sorveglianza clinica e follow-up

La gestione a lungo termine dell’EPN richiede un monitoraggio continuo, finalizzato sia alla valutazione dell’efficacia terapeutica che alla diagnosi precoce di complicanze.

Le principali attività di sorveglianza includono:

  • Misurazione periodica dei livelli plasmatici di lattato deidrogenasi (LDH), che rappresenta un marker sensibile di emolisi intravascolare in atto;
  • Valutazione della conta reticolocitaria, utile per analizzare la risposta midollare alla perdita eritrocitaria;
  • Citometria a flusso su sangue periferico, eseguita ogni sei mesi nei primi due anni dalla diagnosi e successivamente su base annuale nei pazienti in condizioni stabili, allo scopo di monitorare la dimensione del clone PNH e l’evoluzione della malattia.

Nei soggetti con anemia aplastica o altre forme di insufficienza midollare, viene raccomandato di includere lo screening per EPN fin dalla fase diagnostica iniziale, poiché una quota significativa di questi pazienti può presentare cloni PNH di piccole dimensioni non rilevabili clinicamente ma rilevanti per la prognosi.

L’EPN presenta un decorso spesso subdolo: i sintomi, inizialmente vaghi – come affaticamento, anemia o urine scure – sono facilmente confusi con altre condizioni, ritardando la diagnosi. Statistiche internazionali indicano che meno del 40 % dei pazienti ottiene una diagnosi entro 12 mesi dalla comparsa dei sintomi. Circa il 24 % dei casi resta irrisolto per oltre cinque anni, con una media intorno ai 2 anni, dopo aver consultato molti specialisti diversi.

Negli ultimi anni, la gestione terapeutica dell’emoglobinuria parossistica notturna ha subito notevoli miglioramenti. I farmaci inibitori del complemento di prima generazione, quali eculizumab e ravulizumab, hanno dimostrato di incrementare significativamente la sopravvivenza dei pazienti, superando il 96% in alcuni studi, e di ridurre le complicanze trombotiche associate alla malattia.

Nonostante ciò, in alcuni casi si osservano ancora episodi di emolisi estravascolare persistente (EVH) o riacutizzazioni emolitiche (BTH) anche in presenza di blocco efficace del complemento a livello di C5. Questo ha portato allo sviluppo di farmaci di seconda generazione, come il pegcetacoplan, che agisce inibendo il componente C3 del complemento. Studi clinici randomizzati hanno evidenziato che pegcetacoplan migliora in maniera significativa il controllo dell’anemia, riducendo la necessità di trasfusioni in oltre l’85% dei pazienti. Nel 2024, l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha approvato l’utilizzo di pegcetacoplan come terapia di prima linea per l’EPN.

Parallelamente, la ricerca si sta orientando verso soluzioni terapeutiche più pratiche e fruibili a domicilio, attraverso farmaci orali come danicopan e iptacopan, che agiscono su differenti fasi della cascata del complemento. Inoltre, crovalimab, un anticorpo monoclonale con formulazione sottocutanea, è stato approvato nel 2024 in diversi paesi tra cui Stati Uniti, Unione Europea, Giappone e Cina, offrendo un’alternativa efficace e più comoda per i pazienti.

L’attività di ricerca prosegue intensamente, con studi che esplorano nuove opzioni terapeutiche per i pazienti che non rispondono adeguatamente a eculizumab. Le revisioni sistematiche attuali includono farmaci come pegcetacoplan, danicopan e iptacopan, con l’obiettivo di sviluppare linee guida cliniche basate su prove solide derivate da trial controllati randomizzati. Questi progressi mirano a garantire una gestione sempre più personalizzata, adattata ai meccanismi patologici specifici di ciascun paziente.



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